Domina
Livia Drusilla è ancora sedicenne quando viene data in sposa a Tiberio Claudio Nerone, nel 42 a.C. Deve però presto fuggire da Roma, perché suo padre è un difensore della Repubblica e scoppia la Guerra Civile. L'uomo muore poco dopo a Filippi, mentre Livia continua a scappare con il marito, fino a trovare rifugio in Sicilia. Quando finalmente si sono calmate le acque, i due tornano a Roma e Livia ottiene di divorziare dal marito, colpevole anche di aver maltrattato e allontanato la schiava liberata Antigone. Livia sposa uno degli uomini colpevoli di aver portato alla morte suo padre: Gaio Giulio Cesare, che poi diventerà l'imperatore Ottaviano Augusto. La donna non ha figli da lui, ma protegge quelli avuti dal precedente marito: Tiberio e Drusio, che sono considerati pericolosi rivali del nipote ed erede preferito di Gaio Giulio Cesare, ossia Marco Claudio Marcello.
Vent'anni di movimentata vita, tra l'esilio e il dominio sulla nascente Roma imperiale, vengono bruciati in sole otto puntate, tutte dedicate agli intrighi dietro le quinte di Livia, trascurando quasi ogni altro elemento storico del tempo.
Già l'assunto stesso della serie è piuttosto discutibile: l'autore Simon Burke presume che Livia (a partire dal terzo episodio interpretata da Kasia Smutniak) maturi l'idea di ripristinare la Repubblica a Roma in onore del padre (Liam Cunningham), cancellando quindi l'accentramento di potere praticato dal marito Gaio Giulio Cesare. Sembra quasi che l'antica Roma sia considerata al pari della galassia lontana lontana di Star Wars, dove l'Impero è cattivo cattivo e la Repubblica è buona buona. In Domina per altro questo manicheismo non sta in piedi neppure per ragioni di logica interna, visto che - con la sola eccezione di Pisone - i vari rappresentanti della Repubblica sono spregevoli intriganti, che ostacolano a più riprese la stessa Livia, la quale non ha alcuna alleanza con loro. L'altro grande problema di Domina è che, pur se vorrebbe porre Livia al centro di una revisione storica dove la donna ha ruolo centrale, finisce per limitare l'operato della protagonista a un continuo cappa e spada per proteggere i propri eredi, come fossimo nel Trono di Spade. Le questioni del tempo, uno dei momenti di massima gloria di Roma con grandi riforme ed espansioni, sono del tutto assenti. Così, nonostante l'intento dichiarato e il ruolo storico di Livia, che fu un importante consigliere di Ottaviano, si finisce a mettere in scena la consueta rete di intrighi famigliari da dramma femminile. Domina tradisce dunque le proprie promesse, navigando nelle stesse acque di Dynasty o Dallas.
La serie è per certi verso un seguito ideale di Rome, per il periodo storico immediatamente successivo e per l'uso degli stessi set a Cinecittà. Set che sono invecchiati benissimo e rendono efficace la ricostruzione storica cittadina, da cui però la serie si stacca il meno possibile. Domina infatti si tiene ostinatamente lontana dalle province più esotiche e da qualsiasi battaglia, limitandosi a visitare solo qualche villa in campagna o al mare. Vengono così presto meno gli elementi spettacolari tipici del genere peplum e agli scontri all'arma bianca si sostituisce un grande uso di veleni. Antigone, la schiava nera liberata di Livia, è infatti un'esperta avvelenatrice e quasi un deus ex machina che risolve diverse trame, troppe probabilmente, reiterando lo stereotipo che vede nel veleno l'arma preferita dalle donne. Anche l'arco narrativo ventennale infine è un problema, perché a parte per Livia e Antigone, gli altri personaggi non hanno occasione di guadagnare profondità. Questo è particolarmente vero per i più giovani, che rimangono legati a un'unica caratterizzazione, con la sola eccezione del futuro imperatore Tiberio - ma anche il suo sviluppo lascia perplessi per come il ragazzo scivola nella psicopatia.