Il corsetto dell'imperatrice
Vienna, 1877. Il 24 dicembre l'Imperatrice d'Austria Elisabetta, nota ai più come Sissi, compie 40 anni, un'età che per una donna dell'epoca, soprattutto una nota per la sua avvenenza, segnava l'inizio della fine. Elisabetta è infelice, e non fa nulla per nasconderlo: inscena svenimenti strategici durante le parate ufficiali, coltiva progetti suicidi e si intrattiene con uomini che le riservano quell'attenzione, e quello sguardo, che le nega suo marito, l'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria, intento a corteggiare ragazze che potrebbero essere sue figlie e disorientato dall'inquietudine della moglie. A nulla valgono le fughe dell'imperatrice lontano da corte, o le richieste dei dignitari affinché mantenga un contegno ufficiale degno del suo rango: Elisabetta si sente soffocare nella sua gabbia dorata e percepisce tutta l'ingiustizia del suo tempo e del suo mondo contro tutto il genere femminile.
Corsage riesamina radicalmente la figura della bellissima Sissi rispetto al modo in cui l'aveva codificata la serie di film interpretati da Romy Schneider.
Qui infatti il temperamento impulsivo e refrattario alle regole di corte della protagonista non è più un vezzo innocuo gradito al marito, ma un ostacolo al protocollo e alla serenità famigliare. La regista tedesca Marie Kreutzer sconta il fatto che il suo film arrivi dopo Spencer di Pablo Larrain, che narra una storia simile ambientata in epoca più recente, e propone una lettura femminista postmoderna non dissimile da Miss Marx di Susanna Nicchiarelli o da Marie Antoinette di Sofia Coppola, con tanto di accompagnamento musicale molto posteriore agli eventi narrati (nel caso di Corsage è la voce delicata della cantante francese Camille da interpretare alcuni suoi brani - "She Was" - e a rileggere quelli di altri - "As Tears Go By"). Se dunque da una parte la narrazione è attuale, ben costruita, ben diretta e molto ben interpretata da Vicky Krieps nel ruolo di Elisabetta, dall'altro non ha l'effetto innovativo dirompente dei film citati: il desiderio di fuga, i disturbi alimentari, il marito fedifrago e disattento, i palazzi popolati da fantasmi sono comuni a Spencer, così come l'uso del ralenti, gli abbinamenti musicali, persino il liberatorio ballo finale rimandano inevitabilmente a Miss Marx. Anche qui la ribellione interiore della protagonista si fa politica, precorrendo (forse eccessivamente) i tempi e mostrando una consapevolezza e un "senno di poi" difficilmente immaginabili all'epoca in cui è ambientata la storia. Addirittura Elisabetta si permette un gesto della mano allora inesistente, che contraddice il rigore formale assai realistico della scenografia e dei costumi. È comunque una metafora efficace quella del corsetto che dà il nome al titolo, entro il quale la società costringeva la vita (!) delle donne, privandole persino del respiro. Risulta evidente che l'inquietudine di Elisabetta è più che giustificata dalle infinite limitazioni cui era sottoposta e dalla mancanza di possibilità concrete di controllo sul proprio destino individuale.
E tuttavia Kreutzer non commette l'errore di fare di Elisabetta una martire, dandole anche un temperamento volubile ed egocentrico, con punte di narcisismo e di crudeltà verso le persone a lei vicine, donne comprese. Anche l'imperatore e i due figli della coppia sono raccontati come persone che faticano ad abitare il posto loro assegnato, ognuno a suo modo sbagliato per il ruolo che ricopre. "L'imperatrice ha un ragno nel corsetto", e quel ragno è pronto ad uscire avvelenando chiunque, compresi la prole e le fedeli cortigiane. Kreutzer riesce anche ad inserire elementi di humour che sottolineano non solo l'autoironia della protagonista ma anche l'aspetto ridicolo di certi atteggiamenti, soprattutto maschili: un umorismo nero che fa sorridere, ma con dentro tanta malinconia ed amarezza.