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Il muto di Gallura

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

Non ha parole Bastiano Tansu ma tanto piombo per vendicare chi ama nella Gallura del 1849. La chiesa e la monarchia fanno quello che possono per governare l'ingovernabile, la faida infinita tra i Vasa e i Mamia. Il matrimonio mai celebrato tra Pietro Vasa e la figlia di Antonio Mamia è all'origine di quella guerra privata che abbatte senza scrupoli donne e bambini. Bastiano, cugino di Pietro, è il più feroce di tutti, soltanto Gavina, giovane figlia di un contadino locale, fa breccia nel suo cuore. Ma il destino è avverso e ha il colpo in canna.

Le possibilità di un'isola sono enormi, il mare che la circonda apre rotte in ogni direzione. Dalla Sardegna si può andare incontro alla Corsica, procedere verso la Spagna, scendere verso l'Africa e ancora. Qualunque sia la meta, un'isola consente di attraversare il mare e di esserne attraversata. Matteo Fresi sceglie invece di restare a terra.

Al suo debutto (nella fiction), Fresi scava in Gallura una storia lontana e resistente nell'immaginario collettivo. Un problema annoso per gli organismi statali che si avvicendavano sul territorio sardo, una spina nel fianco secolare per il Paese che sfociava inesorabilmente nel delitto di sangue. Nella Sardegna del XIX secolo un'offesa, riconosciuta come casus belli, originava una sequenza di atti delittuosi che falciava famiglie e veniva regolata da una serie di norme integrate alla comunità 'praticante'. Il muto di Gallura è una storia di morte e di vita, di vendetta e di oblio, di amici e di nemici. Il mondo in cui è ficcata come una pallottola nel cuore è violento e binario: se mi uccidi, ti uccido. Un mondo di forze sovrannaturali dove i corsi d'acqua marcano sovente il limite tra uomini e ombre, tra villaggi familiari e luoghi selvaggi, tra azione e allucinazione. Fresi pesca l'universalità delle tensioni umane sul punto di deflagrare, articolando una singolare partitura di movimento e suono. Alle traiettorie dei suoi banditi nomadi fa da contrappunto una fibra acustica complessa: la limba sarda cuce una narrazione di efferate offese da lavare col sangue, confluendo in note elettroniche cariche di elementi ancestrali. La Sardegna si fa espediente di slanci immaginifici, terreno di archetipi e orizzonte di pulsioni dionisiache, dove terra e pietre, sangue e lacrime, sono materie eloquenti. È un prisma attraverso cui esprimersi, grammatica prima ancora che racconto. I volti arcaici degli attori, tutti formidabili e in equilibrio permanente tra potenza e rabbia animale, imprimono ferocia alla mineralità dei luoghi o leggerezza poetica alla tragedia di vendetta (soprattutto le giovani 'spose' mancate di Syama Rayner e Noemi Medas).

Come per il "Macbettu" di Alessandro Serra è ancora una volta Fulvio Accogli, Lady Macbeth filiforme che ha l'altezza infinita delle sculture di Giacometti, a troneggiare, abitando lo spazio con tutte le capacità della voce e del corpo. Il muto di Gallura attinge la sua fascinazione dalla forza primordiale di un'isola che conserva (ferocemente) segreti millenari e si "soddisfa di breve agonie". A immagine dei versi di De André, il film di Matteo Fresi è centrato sulla disamistade (inimicizia), un termine che in lingua sarda indica un particolare rapporto di tensione tra due gruppi familiari che la vendetta spariglia. L'obiettivo è l'ultimo assassino, che conta e riconta le ombre che fatalmente lo riprendono. Avvalendosi dei codici del western e delle categorie dell'antropologia teatrale, Fresi emerge segni universali, affondati nelle radici rituali della civiltà. Emerge una pratica barbara e arcaica, un residuo dello 'stato di natura', la persistenza di istinti ferini da spazzare via con la forza o con la gendarmeria. I dettami del codice fluiscono nelle vene delle comunità pastorali, risuonando come litania spettrale e colpendo sulla strada di casa o dentro notti dove i morti sono tutti uguali. I volti dei Vasa e dei Mamia si confondono, ormai dannati e incapaci di vivere senza dolore. Il muto di Gallura è uno choc tellurico, è cinema organico che risuona a lungo come un colpo di fucile, come un corpo che cade. Quello di un ragazzo senza voce e senza pace, che alimenta una storia leggendaria, 'cavalcando' come Billy the Kid tra realtà e finzione.

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