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Maestro

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

Dal momento in cui Leonard Bernstein piomba sul palcoscenico della Carnegie Hall, a soli 25 anni, a condurre per la prima volta la New York Philarmonic, cosa che farà per una leggendaria tenitura decennale, la sua ascesa è inarrestabile. Accanto a lui, durante la lunghissima carriera in cui alternerà l'attività di direttore d'orchestra a quella di compositore (anche per film drammatici come Fronte del porto e musical come West Side Story) a quella di insegnante e studioso della musica, c'è la moglie Felicia Cohn Montealegre, che condivide ogni sua passione ma mal tollererà le sue relazioni omosessuali.

Come annunciato dai titoli di testa, "un'opera d'arte non risponde alle domande, le suscita", ed è la tensione fra risposte contraddittorie ad essere davvero degna di attenzione. Dunque anche la vita di un musicista gigantesco come Bernstein è il composito delle contraddizioni che hanno nutrito la sua espressione artistica.

Maestro, scritto (con Josh Singer), diretto e interpretato da Bradley Cooper, è il racconto di una dualità profonda che coesiste in nome della libertà creativa e personale: performance coinvolgente e composizione solitaria, estroversione pirotecnica e tristezza interiore, etero e omosessualità. Dunque anche il film è diviso nettamente in due parti, la prima in bianco e nero e la seconda a colori, a rappresentare le due epoche del rapporto coniugale fra Leonard e Felicia. La prima metà è ben riuscita, ricca di espedienti narrativi e filmici che la rendono viva e movimentata: e si vorrebbe che diventasse un musical tout court, il che espliciterebbe in modo più efficace il rapporto fra finzione e realtà, vita e performance che ha caratterizzato il matrimonio dei Bernstein, suggerito anche dal formato cinematografico "autoriale". La seconda parte invece percorre terreni più convenzionali da biopic sentimentale, e trasforma il personaggio di Felicia, interpretato da Carey Mulligan, nell'opposto di come era stata rappresentata all'inizio: non più anima gemella di Leonard intellettualmente e artisticamente (Montealegre era stata un'attrice di successo) ma moglie rancorosa e ostile che ha scoperto di non potersi accontentare di ciò che il marito le può dare - nonché una prepotente che intima a Lenny di "non azzardarsi a dire la verità" sulle sue scappatelle (compresa una vera e propria relazione parallela). Fra l'altro nella realtà, oltre che uno spirito libero, Felicia era una nota attivista politica: aspetto del quale nel film non resta alcuna traccia. Maestro dà spazio quasi unicamente ai due protagonisti, a scapito di tutto il resto: sarebbe stato invece interessante capire il processo creativo e le scelte artistiche di Bernstein, e invece la sua musica rimane un (magnifico) sottofondo (per capire come raccontare un compositore spiegandone l'ispirazione e i ragionamenti basta ricordare Ennio); così come sarebbe stato utile approfondire i ritratti dei figli o della sorella del direttore d'orchestra (l'ottima Sarah Silverman) che rimangono invece figurine collaterali, e soprattutto il punto di vista degli amanti, trattati davvero come incidenti di percorso, al netto del primo piano sofferente di Matt Bomer.

Maestro è nato sotto l'egida e la coproduzione di Steven Spielberg e Martin Scorsese che hanno affidato a Cooper la storia del "più grande direttore d'orchestra americano", e la loro fiducia non è mal riposta, perché il regista-sceneggiatore riesce a imbevere la storia di un dolore e un diniego segreti, una rassegnazione a "sopportare e sopravvivere" che effettivamente si leggevano nello sguardo del vulcanico musicista: nonché quell'"acuto senso della futilità" e quella "sindrome dell'impostore" che fanno pensare anche ad una possibile immedesimazione autobiografica di Cooper, la cui interpretazione nei panni di Bernstein è comunque eccezionale, fatta di voce e fisicità, conduzioni selvagge e composizioni tormentate, e di una fondamentale inaccessibilità mascherata da esuberanza, che fa pensare più ad un disturbo bipolare che alla depressione spesso citata nel film. Carey Mulligan invece soffre la dicotomia di un personaggio che fondamentalmente tradisce se stesso, e la personale tendenza a interpretare i ruoli in maniera stucchevole.

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