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Lydia Tár, prima donna di sempre a dirigere l'orchestra dei Berliner Philharmoniker, si trova al centro di polemiche sull'abuso di potere esercitato nel proprio ruolo e sulla richiesta di favori sessuali fatta a delle dipendenti in cambio di riconoscimenti professionali. In particolare, dopo il suicidio di una sua ex assistente, Krysta, cominciano a circolare prove e video compromettenti, probabilmente diffusi da membri del suo stesso staff.
Un incipit senza mediazioni ci catapulta nell'intimità della protagonista e ci illustra il modus operandi del regista Todd Field: una conversazione rubata, una chat privata tra l'assistente di Tár, Francesca Lentini, e un'interlocutrice dall'identità sconosciuta.
Il contrasto di ammirazione e risentimento, amore e odio, bisogno di attenzione e insieme desiderio di vendetta che circonda la direttrice d'orchestra è già evidente dai primi frame, così come l'intento di Field di mescolare audacemente linguaggi differenti e contrastanti. Le conversazioni su smartphone e le escursioni su YouTube si mescolano a sequenze che appartengono a un cinema più classico e tradizionale, mentre le incursioni verso un'estetica quasi sperimentale caratterizzano le fratture della narrazione, i momenti di climax in cui la psiche di Lydia è messa a dura prova dalle sfide che le si pongono davanti. La sequenza dell'intervista iniziale, con pochi stacchi di montaggio, colpisce al pari delle parentesi oniriche per la vivida immaginazione di Field, che mette il suo passato di esteta del videoclip al servizio di un'opera dalle grandi ambizioni. Sembra quasi che Field intenda assemblare narrazioni differenti e coordinarne la polifonia proprio come Lydia Tár alternerebbe archi e ottoni: la mano sinistra per plasmare e dare forma alla creatività, la mano destra per dettare il tempo e trasformare suoni in sinfonie, oppure semplici immagini in cinema. Al cuore dell'indagine di Field si trova il tema sempre più attuale dell'abuso di potere e dell'estrema difficoltà di separare sfera privata e professionale. Quando quest'ultima conduce oltre ogni aspettativa ed espone a continue lusinghe, è possibile mantenere il controllo senza cedere alla tentazione di sostituirsi a Dio e gestire i destini degli esseri umani? Starà allo spettatore valutare se sia giustificato l'odio verso Lydia, cercando di discernere l'artista dalla donna.
Ma Field ha il merito di mettere in campo elementi a favore tanto dell'accusa che della difesa, ad esempio illustrando le lezioni tenute da Lydia - sequenza straordinaria - e fortemente incentrate su un nervo scoperto della contemporaneità, la tendenza odierna a mettere in discussione grandi artisti del passato - Wagner, Bach, così come Woody Allen - sulla base della loro vita privata. Lydia parla pensando a se stessa, ma è chiaro come il dibattito sia universale e centrale nel dibattito attuale. La scelta di affidare il ruolo del "predatore sessuale" a una donna lesbica contribuisce a sfrondare dagli stereotipi e ad affrontare la questione vis à vis. Un ruolo letteralmente impossibile da interpretare, se non per un monstruum della recitazione quale Cate Blanchett, non nuova a parti di donne egocentriche, accentratrici e manipolatorie. I cambi di registro e la gamma infinita di emozioni altalenanti di Lydia sono restituite da Blanchett con grande verosimiglianza, anche nei momenti più eccessivi. Blanchett riesce a farci immedesimare con un personaggio che rimodella il senso etico a proprio piacimento e prova a farci comprendere cosa significhi dover sostenere lo stress di una professione come la sua, in cui l'unica opzione consentita è la perfezione assoluta. A sorreggere Blanchett un cast di supporto impeccabile, in cui primeggiano Nina Hoss - è Sharon, la compagna ufficiale di Lydia nonché madre della piccola Petra - e Noémie Merlant - è Francesca Lentini.