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The Fabelmans

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

1952. Sammy Fabelman ha sei anni e al cinema non ci vuole andare, ha paura di affrontare quel mondo di giganti. La madre gli assicura che i film sono sogni indimenticabili, il padre lo rassicura descrivendogli il prodigio di una macchina che fa muovere immagini fisse. Davanti al loro bambino, Mitzi e Burt assumono ciascuno il proprio ruolo: la poesia da un lato, la tecnologia dall'altro. In sala Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille fa il resto. Sam esce dal cinema e l'avvenire è aperto. Recrutando come figuranti compagni di scuola e sorelle, comincia a girare western ed epopee belliche nel deserto dell'Arizona. Gli anni intanto passano e Sam, adolescente, scopre nel flusso dei suoi fotogrammi aspetti insospettabili della vita dei suoi genitori. Il padre, brillante ingegnere, vorrebbe seguire una promozione a Los Angeles, la madre, pianista che ha abbandonato la sua carriera per allevare i figli, vorrebbe restare a Phoenix. Il trasloco è inevitabile, il divorzio pure. Sam si rifugia nel cinema e in un'estate in 16mm prima di diventare grande e fare grandi film. 

Ha la forza di un treno, quello delle origini (L'arrivée d'un train à La Ciotat) e quello di Cecil B. DeMille (Il più grande spettacolo del mondo), la vocazione al cinema di Steven Spielberg.

La favolosa sequenza di apertura di The Fabelmans pone la prima pietra: davanti al grande schermo gli occhi del piccolo protagonista si spalancano di spavento e di meraviglia per l'incredibile scena di un treno che percuote in piena corsa una vettura sui binari. L'ossessione di quella scena non lo lascerà più e non smetterà di riprodurla in miniatura con la sua prima cinepresa. Comincia da qui The Fabelmans, puramente spielberghiano e radicalmente intimo. Un film ad alto potere emozionale e ricco di ellissi che 'colmano' una mancanza e ricostruiscono quell'infanzia che il regista non ha mai smesso di reinventare nei suoi film. È una lettera d'amore di Spielberg ai suoi genitori, The Fabelmans, a sua madre in particolare, a cui il film è dedicato. L'autore è nel pieno possesso delle sue capacità, sereno e finalmente pronto a girare 'il suo' racconto elegiaco e solare, attraversato da una felice malinconia. Spielberg è dappertutto, nella narrazione che scrive a quattro mani con Tony Kushner (MunichLincolnWest Side Story), e nella forma, meno (apparentemente) spettacolare e sensibilmente personale. Il padre di Indiana Jones firma un'autobiografia romanzata, un'introspezione, un dizionario enciclopedico dei temi e dei motivi che coltiva da più di mezzo secolo: i volti meravigliati dei bambini, occhi spalancati e bocche socchiuse, i dialoghi scritti come massime ("Non basta amare una cosa, bisogna sapere prendersene cura..."), la perdita del conforto domestico come trauma irrimediabile, il confronto dei mingherlini di genio coi bellimbusti idioti e quell'incredibile senso visivo che gli permette di inventare immagini folgoranti. Una su tutte: le mani di un bambino che si fanno schermo per accogliere delicatamente un frame tremante, come un pulcino estratto dal suo guscio. Spielberg è tutto lì, 'in un pugno' e in un film che affronta per la prima volta in maniera esplicita la sua infanzia. Niente alieni a deviare il racconto. Il regista esplora soprattutto le zone d'ombra perché sotto la gioia di vivere dei 'favolosi Fabelmans', come avrebbe titolato Orson Welles, si nascondono segreti e ferite. 

In una sequenza, che è una variazione stordente del Blow-Up di Antonioni, il protagonista scopre che il suo clan è meno perfetto di quanto sembri. Sam monta un filmino di famiglia, girato in campeggio, e trova qualcosa che cambierà tutto, qualcosa che era sotto il suo naso ma che gli era sfuggito, qualcosa che la sua cinepresa ha catturato. Perché The Fabelmans descrive la fine dell'innocenza e la disintegrazione di una coppia a cui assiste impotente il figlio adolescente. Il giovane Sam, che assomiglia a Steven come un fratello, pratica allora il cinema come un rifugio, un mezzo meraviglioso per fuggire e sublimare il mondo reale e le sue ingiustizie, un mezzo per rivelare anche la sua verità, per quanto cruda e crudele. Tre sono i temi essenziali, tutti avvincenti e personali, che strutturano questa saga intima: il potere incommensurabile dell'arte, l'antisemitismo brutale sperimentato dal protagonista al liceo, la rottura irreparabile tra i suoi genitori. Tre vene che alimentano tutto il suo cinema e fanno la somma con la lenta scoperta del continente femminile, un territorio ignoto e misterioso per il regista, scrutato tutta la vita da lontano. Si avventura cauto e dolce, Spielberg, sviluppando per la prima volta un grande personaggio femminile, complesso e irrequieto, a cui Michelle Williams apporta una fantasia, uno spasimo e una dismisura, di fragilità e disperazione trattenuta, che evoca la Gena Rowlands 'under the influence' di Cassavetes (Una moglie). Centrato sul suo personaggio e sulla sua famiglia, i suoi eroi hanno uno spessore reale, una vera densità psicologica, The Fabelmans lascia fuori la Storia. Spielberg sottrae a sorpresa il suo destino dal contesto americano. Inventa un Paese studio, senza guerra del Vietnam, senza minaccia nucleare o ossessioni per il comunismo, senza lotta per i diritti civili. La radio diffonde solo musica, i giornali non esistono. I costumi, che evolvono con la morale, passano per uno spinello che Sam rifiuterà di fumare.  The Fabelmans è la testimonianza di un autore che ha dedicato la sua vita a una forma d'arte che credeva onnipotente e che oggi scopre fragile, una lezione di messa in scena che rivela il trucco del mestiere (Sam espone minutamente a un compagno come interpretare un ufficiale della Seconda Guerra Mondiale che prende coscienza di tutti i soldati Ryan che ha perso sul campo) mentre esegue il 'prestigio' (Burt osserva scosso una fotografia che ritrae la moglie sorridere all'altro uomo).  Il film si conclude con un irresistibile movimento della m.d.p. che svela l'orizzonte del nostro eroe. Il seguito lo conosciamo già e risuona tutto in quel nome, ben reale, che incide i titoli di coda. Monumento alla mitologia del suo autore, The Fabelmans non racconta che questo: come si diventa Steven Spielberg. 

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