Alla vita
Elio De Angelis è il proprietario di una masseria ricevuta in eredità dal padre che aveva intrecciato un legame di reciproca stima con un gruppo di ebrei ultra-ortodossi di Aix-Le-Bains. Costoro giungono ogni anno per acquistare dei cedri che debbono essere perfetti per poter essere usati in una cerimonia religiosa specifica. Tra di loro c'è la giovane Esther che sta iniziando a non sopportare più le restrizioni che la comunità le impone.
Stéphane Freiss alla sua opera prima affronta con coraggio, ma anche con sensibilità, il tema dell'ortodossia religiosa affiancandolo a quello del legame ancestrale con la terra.
Per comprendere meglio questo interessante film è necessario innanzitutto essere a conoscenza di quale significato assuma il cedro per gli ebrei. Il Sukkot o Festa delle capanne ricorda il passaggio del popolo ebreo dalla schiavitù in Egitto alla Terra Promessa e, in particolare, il periodo trascorso nel deserto. La Torah prescrive di fare uso per la festa di quattro vegetali: un ramo di palma, tre rami di mirto, un ramo di salice (che vengono legati insieme con della canapa) e un cedro che viene tenuto nell'altra mano. Ci sono poi molte regole che l'aspetto del frutto deve rispettare oltre a quella che non deve essere il risultato di innesti che ne pregiudicherebbero la purezza. Il compito degli uomini della comunità è quello di ispezionare ogni frutto per decidere se sia o meno corrispondente alle esigenze. Una delle lodi che essi pronunciano è "le haim" che significa, come il titolo, "alla vita". Una vita che però costringono entro un'infinità di regole alcune delle quali (e non sono poche o poco importanti) riguardano le donne. Una delle quali, la giovane Esther, sta iniziando ad avvertirne il peso. Il film ruota attorno a lei e al suo rapporto con Elio, un uomo divorziato con figli che vede poco, e il cui legame con la terra (dopo che i fratelli se ne sono allontanati) finisce con il sottoporlo a costrizioni che lui stesso si è imposto. È rarissimo trovare nel cinema italiano film che si occupino degli ebrei ultra-ortodossi. Se possibile è ancor più difficile che questo tema si veda associato ad un'altra forma di dipendenza solo apparentemente inserita in un contesto di libera scelta.
Scamarcio disegna così l'immagine di un uomo che aiuta, passo dopo passo e senza un progetto strategicamente definito, una giovane donna ad iniziare un percorso che la porti davvero verso una vita piena e non vincolata da una miriade di precetti che finiscono con lo spegnerle, invece che ravvivarla, la fede in Dio. Al contempo lo spettatore viene invitato a chiedersi se il suo Elio non sia, seppur non sempre consapevolmente, aiutato da Esther a comprendere i propri limiti di uomo che ha confuso il senso del dovere verso la figura paterna con una pseudo forma di amore per il lavoro nei campi utile a non farlo pensare alle vere esigenze di una vita a cui si possa inneggiare in senso pieno. Elio, ateo che tratta con grande cura e attenzione, una statua di Sant'Antonio ha bisogno di iniziare a poter pensare di trovare un coraggio che sembra mancargli per poter fare festa soprattutto con se stesso. Lui ed Esther finiscono così con il rappresentare, seppur nella differenza d'età, due facce della stessa medaglia a cui la solarità di un'estate pugliese non risparmia le zone d'ombra.