Amanda
Amanda è una ragazza di 25 anni che non ha amici e forse non li ha mai avuti. Ha una famiglia benestante, ha vissuto a Parigi dove passava le serate al cinema e ogni tanto incontrava qualcuno. Ma non ha mai avuto un legame stabili. I genitori e la sorella non la sostengono e trova solo complicità nella domestica che spesso le ha fatto compagnia. Cerca di conoscere nuove persone in festival tecno e rave abusivi e vorrebbe rendere libero un vecchio cavallo. Un giorno rivede una sua coetanea, Rebecca, figlia di un'amica di sua madre. Quando erano bambine, trascorrevano molto tempo insieme. Ora anche Rebecca è spesso isolata, chiusa nella sua stanza. Riusciranno, insieme, ad essere meno infelici?
Non è solo un film sull'isolamento ma su uno straniamento esistenziale. Amanda, opera prima di Carolina Cavalli che ha scritto anche la sceneggiatura, segue la protagonista nel suo nervoso nomadismo fisico ed esistenziale.
Amanda è alla ricerca di qualcosa che possa dare un senso alla sua vita. Per questo agisce spesso d'impulso, si muove dentro spazi geometrici e inquadrature larghe che accentuano il vuoto che c'è attorno a lei. Attraversa, per esempio, la città con il riso in mano e soprattutto è una figura che, più che camminare, galleggia. L'immagine della piscina con la protagonista bambina è indicativa di uno stato d'animo ricorrente e anticipa traumi del passato. Sorretto dalla convincente interpretazione di Benedetta Porcaroli che rende il suo personaggio malinconico, disperato, rabbioso ma anche ironico, Amanda mette a fuoco tutti gli altri personaggi quasi esclusivamente attraverso la sua protagonista. Forse è questo uno dei limiti del film, incapace di far respirare in pieno la storia perché troppo concentrato su Amanda. In più, i ricorrenti piani fissi, per esempio nei dialoghi con la sorella o nelle scene a tavola con la famiglia per accentuare il dialogo con la sorella o gli sguardi in macchina degli spettatori del cinema parigino, sembrano dei quadretti in cui la cineasta cita insistentemente il cinema di Wes Anderson, proprio nel modo in cui viene filmata quell'apparente assenza esistenziale delle sue gallerie umane. Amanda sovrasta fisicamente Rebecca che può controbattere con dialoghi espliciti come "Mia madre mi obbligava a uscire con te perché facevi pena a tutti".
Inoltre, è anche il mondo degli adulti (la famiglia di Amanda e la madre di Rebecca, interpretata da Giovanni Mezzogiorno) che resta, forse intenzionalmente, confinato in un mondo a parte. Ci sono i segni del disagio ma non la follia, anche quella che può essere più positivamente contagiosa. Ed è proprio in scene come quelle della protagonista con la madre nella vasca da bagno, che c'è una ripetitività ricorrente nel contatto di Amanda con gli altri, anche con gli occasionali uomini che incontra. Però è anche un film che ha anche delle potenzialità di cui si sono visti dei frammenti: il rapporto con il cavallo, i petardi. Restano al momento ancora sottotraccia, ma rendono Amanda a tratti interessante e soprattutto riesce a trovare un finale coinvolgente. Non basta, ma potrebbe essere la strada da cui ripartire.