Everything everywhere all at once
Evelyn e il marito Waymond sono cinesi americani con una tipica impresa di famiglia: una lavanderia a gettoni. Sono però indietro con le tasse e devono presentarsi presso l'ufficio della IRS con vari documenti che giustifichino la detrazione delle spese. Della famiglia fanno parte anche il nonno materno Gong Gong e la figlia Joy, che è in una relazione lesbica mal digerita dalla madre. Nell'ufficio di Evelyn la banalità della sua vita viene travolta da una sconcertante missione: il multiverso è in pericolo e la donna, assumendo in sé le capacità delle proprie varianti da altri mondi, deve cercare di arrestare una misteriosa entropia cosmica.
Everything Everywhere All at Once sfida i Marvel Movie sul loro territorio narrativo con i mezzi del cinema indipendente e ne esce vincitore grazie alle molte soluzioni artigianali e all'affettuoso omaggio al cinema di Hong Kong.
Ci sono infatti le mani dalle dita giganti e amorfe che paiono uscite dai film di Michel Gondry e c'è il kung fu che fa uso di oggetti comuni come armi, dagli spazzoloni ai dildo, nello stile dei combattimenti slapstick di Jackie Chan. La sceneggiatura era infatti stata inizialmente scritta nel 2016 per Chan, ma poi i registi hanno preferito una protagonista femminile, più insolita e pure più al passo con i tempi, del resto Michelle Yeoh nelle arti marziali non è seconda a nessuno. La "villain" è una Jaime Lee Curtis logorata da una vita nell'ufficio delle tasse, con tanto di pancia prostetica, ma che non manca di sfoderare la propria grinta. All'insegna del recupero di un cinema passato ci sono poi il mitico James Hong, reso immortale da Grosso Guaio a Chinatown e il sorprendente ritorno di Ke Huy Quan, alias Jonathan Ke Quan, attore vietnamita americano che da bambino aveva partecipato a Indiana Jones e il tempio maledetto e I Goonies. È invece quasi un esordio quello di Stephanie Hsu, che al cinema aveva avuto solo ruoli minori ed era per lo più nota per La fantastica Signora Maisel in Tv, dove interpreta Mei Lin, la nuova compagna di Joel. Il casting guarda dunque molto agli anni 80 del cinema americano e punta sulla comunità asiatica, trasfigurando in senso eroico (ma pure comico e autocritico) la sua vita in America, assai più di quanto non abbia fatto Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli che invece si spostava presto in location lontane e in mondi fantastici. Everything Everywhere All at Once lascia che la storia abbracci molte realtà diverse, come Doctor Strange nel multiverso della follia - che peraltro in America è uscito più o meno nelle stesse date invitando ulteriormente il confronto - ma riesce anche a mantenere il racconto nel mondo asiatico-americano, un po' come ha fatto il film della Pixar Red. Everything Everywhere All at Once è diretto dai "Daniels" ossia da Daniel Kwan e Daniel Scheiner - registi di videoclip già fattisi notare con l'originalissimo Swiss Army Man - Un amico multiuso - ed è una scommessa dei fratelli Russo in veste di produttori.
Nel loro presentare varie realtà, i Daniels omaggiano anche Wong Kar-wai, con un universo in cui la protagonista è una star di un film che ha la stessa estetica di In the Mood for Love. Mentre in altri mondi toccano l'assurdo più assoluto, arrivando a protagonisti incarnati in pietre immobili, quasi fossimo in un film di Quentin Dupieux. Quella dei Daniels è un'ambizione narrativa che non si ferma di fronte al budget e miscela riferimenti alti e comicità fisica, l'assurdità di un mondo dove si fanno le cose con i piedi e l'umorismo spudorato sulle penetrazioni anali, il tragico e il comico e soprattutto il fantastico e l'ordinario. Così Everything Everywhere All at Once riesce in un'impresa unica: imporre un immaginario originale, un modo di fare cinema cinefilo e popolare al tempo stesso, ricco di idee tanto di sceneggiatura quanto di messa in scena, senza rinunciare alla carica artigianale e sovversiva del cinema low budget.