Ambulance
Il decorato veterano di guerra Will Sharp è alla disperata ricerca di soldi perché la moglie è malata di cancro e ha bisogno di un urgente intervento chirurgico sperimentale che costa più di 230.000 dollari. Chiede aiuto a Danny, il fratello adottivo, il quale, per aiutarlo, gli propone una rapina in banca da a 32 milioni di dollari, la più grande nella storia di Los Angeles. Quando però la loro fuga va clamorosamente storta, i fratelli disperati prendono un'ambulanza con a bordo, in ostaggio, un poliziotto ferito che lotta tra la vita e la morte e l'esperta paramedico Cam Thompson.
Michael Bay mette per 24 ore a ferro e a fuoco Los Angeles in una tesissima fuga in ambulanza senza precedenti. Anche per il suo cinema, che si tinge meravigliosamente di mélo.
Qualcuno pensava che la complessità non si addiceva a Michael Bay e al suo cinema tutto muscoli e sragionevolezza. Tutto vero se ci si fermava alla patina superficiale che lo stesso regista ha sempre amato spalmare sul suo cinema sempre profondamente politico. Probabilmente chi è cascato in questo equivoco non si risolleverà neanche con questo Ambulance, ultimo capitolo della splendida filmografia di Michel Bay che sembrava aver detto tutto con il precedente 6 Underground, particolarmente sottovalutato forse perché scambiato per un mero prodotto Netflix mentre invece era un film a tutti gli effetti 'sperimentale'. La macchina cinema di Bay è anche questo, riflettere su se stessa, se serve anche autocitandosi, magari guardando (come in questo caso) con ironia amorosa al manniano Heat - La sfida, per aggiungere sempre qualcosa di originale all'idea di intrattenimento contemporaneo. In questo senso Ambulance, (falso) remake dell'omonimo e mediocre film danese del 2005 di Laurits Munch-Petersen, intercetta tematiche e umori da mettere in scena in un thriller che sa essere un attimo prima, adrenalinico e mozzafiato, e quello dopo più serio e compassato. In mezzo c'è la solita ironia esibita e scandita da battute in cui si sorride spesso a denti stretti. Del film danese di partenza, che durava appena un'ora e venti minuti, rimane solo l'idea della fuga di due rapinatori fratelli in un ambulanza con un paziente e un'infermiera dentro. Mentre invece ora, l'adattamento di Chris Fedak costruisce una sceneggiatura che riempie due ore e un quarto, dando molto più spazio sia al racconto del rapporto, anche conflittuale, dei due fratelli protagonisti, con il flashback su quello ex-marine veterano di guerra trattato senza alcun riguardo dalla società (un tema caro a tanta cinematografia statunitense, si pensi a Rambo), sia allo svolgimento del colpo in banca quando risuona la seconda insistita autocitazione del film, dopo quella relativa a Sean Connery in The Rock: «Entriamo insieme come in Bad Boys?».
E, a proposito, nel film ci si chiede: «Rapinano ancora le banche?». Domanda non peregrina dal momento che il mondo è cambiato e Ambulance lo sa bene perché il cinema di Michael Bay, un tempo quasi di propaganda sull'America, ora appare completamente disilluso (ripetuti gli accenni alle falle del sistema sanitario) e non nasconde mai, anche ai lati delle inquadrature rocambolesche, il degrado della sua amata città natale, ad esempio mostrando le tende dei senzatetto. Il film è un vero e proprio tributo, un atto d'amore a Los Angeles ripresa fin dentro l'immaginario collettivo stesso, quello del suo fiume con il canale di cemento, bianco e semi-asciutto, set prediletto di tanti film d'azione e non solo. Si pensi al videogioco "Grand Theft Auto" che forse è servito anche per la libertà di immaginare un corpo di polizia e agenti dell'FBI ai limiti della macchietta. Ma è anche grazie a questo sguardo amorevole sulla città che la pur ampia durata del film regge l'ambientazione unica da dentro un'ambulanza grazie anche all'unità di tempo stretta nelle 24 ore del racconto. Senza dimenticare l'apporto narrativo del personaggio della paramedico (ruolo che non esiste da noi) Cam Thompson, interpretata da una convincente Eiza González, ostaggio dei due fratelli a cui prestano corpo e volto Jake Gyllenhaal e Yahya Abdul-Mateen II capaci di giocare con i loro ruoli invertiti rispetto alle abitudini cinematografiche del colore della loro pelle: il primo amante delle rapine e il secondo servitore del suo Paese. Certo, anche questa volta Bay mette tutto il suo mestiere per accompagnare lo spettatore in alcune delle sequenze d'azione più adrenaliniche che il cinema possa offrire oggi (c'è anche spazio per una operazione chirurgica a cento all'ora...), con la macchina da presa che si muove spesso come una scheggia impazzita quasi a scontrarsi con gli innumerevoli mezzi che la regia a sua volta fa scontrare e poi immediatamente esplodere. Michael Bay gioca per accumulazione e fa sì che lo spettatore trangugi, ora che fortunatamente si è tornati a poterlo fare, il maggior numero possibile di popcorn al secondo. Giusto in tempo per una conclusione che inserisce un sottofinale di struggente e inedito mélo. Con, poco prima, le note di California Dreamin': «Sarei al sicuro e al caldo/se fossi a Los Angeles».