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Leonora addio

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

Luigi Pirandello riceve il premio Nobel per la letteratura nel 1934, e muore nel 1936. Lascia detto di non volere un funerale in pompa magna, e le sue ceneri vengono custodite modestamente al cimitero del Verano a Roma. Ma nei desideri dello scrittore c'era anche di ricongiungersi alla sua Sicilia, e così, dopo la guerra, un emissario del comune di Agrigento parte da Roma con una cassa di legno che ne custodisce i resti, pronto a salire su un aereo messo a disposizione da De Gasperi. Il viaggio, però, si rivelerà da subito più complesso del previsto.

A tre anni dalla morte di Vittorio, Paolo Taviani si rimette al lavoro in solitaria con un film in cui la presenza del fratello è ancora straordinariamente viva.

Già in passato i due registi avevano adattato, scomposto e ri-assemblato l'opera di Pirandello (Kaos e Tu ridi), ma con Leonora addio Taviani va oltre, mette lo scrittore dentro al testo, dialoga e ne omaggia la memoria, in una parabola in due parti, molto diverse tra loro ma entrambe sensibili all'inevitabilità del destino e alla prolungata influenza sui vivi di chi non c'è più. Taviani parte con una dedica al fratello e gioca con Pirandello fin dal titolo, il quale cita una sua opera poi del tutto assente. Lo immagina triste nella riflessione "sul dolce della gloria e sull'amaro che è costata" mentre riceve il Nobel, lo coglie sul letto di morte a contemplare i figli. È il preludio a una prima parte di film che con inventiva fa un ritratto dell'Italia, l'Italia che a guerra finita lentamente torna a casa e torna alla vita. Volti e piccoli sketch che accompagnano il funzionario interpretato da Fabrizio Ferracane verso la Sicilia, ma che nelle poche battute concesse dicono molto di più e variano dal poetico al comico, nella migliore tradizione del nostro cinema. Proprio il nostro cinema si fa testimonianza del periodo, più e meglio di quanto faccia la Storia stessa: Taviani usa materiale d'archivio e cinema neorealista (su tutti il finale di Il sole sorge ancora, con Carlo Lizzani che intona un "ora pro nobis" mentre va alla fucilazione) per "riempire" quel tempo in cui Pirandello riposa in una prima sepoltura lontano da casa. Con i suoi ritmi espansi e le particolari scelte di recitazione e di struttura, Leonora addio lascia a volte perplessi nella fruizione ma rimane un'opera ostinatamente originale, capace di trasformarsi nel finale in un ulteriore adattamento pirandelliano, questa volta del crepuscolare "Il chiodo", novella scritta poco prima di morire che dalla Sicilia riparte per emigrare a New York. Il suo delitto insensato, propiziato da quel chiodo caduto "apposta" e simbolo di un'esistenza marchiata per sempre, viene messo in scena da Taviani con una finzione ostentata, che riporta a Pirandello e all'idea iniziale che è la vita stessa a essere una performance.

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