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Diabolik

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

Clearville, fine anni '60. Dopo aver messo a segno un altro colpo, Diabolik riesce a sfuggire alla polizia dopo un inseguimento. L'ispettore Ginko, con la sua squadra, sta facendo di tutto per prenderlo ma fino a questo momento i suoi tentativi sono andati a vuoto. Intanto in città è arrivata Eva Kant, una ricca ereditiera cha ha con sé un diamante rosa, un gioiello dal valore inestimabile. Giorgio Caron, vice-ministro della Giustizia, è perdutamente innamorato di lei ma non è ricambiato. Una sera, Diabolik si introduce nella stanza dell'hotel di Eva per rubarle il prezioso diamante, assumendo l'identità del suo cameriere personale. Appena si vedono, scatta il colpo di fulmine. Il "Re del Terrore" però poi viene catturato dall'ispettore Ginko e portato in carcere e Lady Kant farà di tutto per farlo evadere e salvarlo dalla ghigliottina.

Da Mario Bava ai Manetti Bros. La nuova versione cinematografica di Diabolik riparte proprio da lì, dalla fine degli anni '60.

Nel 1968 infatti è stato realizzato quello che fino ad oggi era stato l'unico film tratto dal celebre fumetto delle sorelle Angela e Luciana Giussani. Probabilmente non è solo una coincidenza o un omaggio. Il Diabolik prodotto da Dino De Laurentiis e firmato dal 'maestro del brivido' italiano che aveva fatto uscire fuori di testa i "Cahiers du cinéma" mentre in Italia la critica si era divisa, diventa il necessario punto di ripartenza per un omaggio devoto dove non manca nulla e che a prima vista può apparire anche freddo, mentre ha molti segreti nascosti sotto la superficie. Liberamente ispirato al fumetto n. 3, "L'arresto di Diabolik" pubblicato il 1° marzo 1963 dove compare per la prima volta il personaggio di Eva Kant, il nuovo Diabolik dei Manetti Bros. sembra avvicinarsi a una forma di racconto più classico. In realtà si tratta di un altro intrigante viaggio nei generi da parte dei Manetti dopo l'horror (Zora la vampiraPaura 3D), il thriller (Piano 17) che incontra la fantascienza (L'arrivo di Wang) e soprattutto il musical (Song'e NapuleAmmore e malavita) in cui c'è stato un lavoro di incessante contaminazione di linguaggi, una danza tra colori e suoni che, paradossalmente, potevano essere più vicini alla versione pop di Mario Bava. Il Diabolik 2021 invece agisce sottotraccia. C'è l'ispettore Ginko di Valerio Mastandrea che ha un'impassibilità, una malinconia e un disincanto simile a Michel Piccoli della prima versione. Ma è proprio nel rapporto tra Diabolik ed Eva Kant che i due cineasti lasciano emergere le tracce di un silenzioso ma al tempo stesso avvolgente mélo, già dal primo incontro nella stanza dell'hotel fino alla loro comunicazione in codice Morse.

L'attesa della protagonista prima di leggere la prima pagina sui giornali guarda al cinema classico statunitense, così come il dettaglio sull'orologio (dalle 21:02 alle 21:29) dove avviene uno degli episodi decisivi del film. Dietro la ricostruzione precisa delle location, la musica degli abituali collaboratori Pivio e Aldo De Scalzi che si sono ispirati a soluzioni timbriche di Bernard Herrmann combinate con le atmosfere action di Lalo Schifrin, Diabolik appare impenetrabile, mentre invece seduce di nascosto e conquista alla distanza. Non c'è più il sole e la morte di Ammore e malavita. C'è l'azione nell'ombra in un'altra contaminazione più controllata ma in realtà ancora impazzita. Entra in campo Hitchcock con la scena nel bicchiere, il volto di Miriam Leone filmata come un'altra 'donna che visse due volte' e il mix tra giallo e commedia di Caccia al ladro. Ma anche il poliziettesco nella scena dell'inseguimento iniziale dove la Jaguar diventa un'altra protagonista. In più, c'è il continuo gioco tra il volto e la maschera, il camuffamento dietro la voce e il viso, che richiama la magnifica ambiguità tra John Travolta e John Woo in Face/Off. Due facce di un assassino. Qui c'è Luca Marinelli da solo. Ma nel suo Diabolik potrebbero esserci cento, mille reincarnazioni. Proprio per questo il film dei Manetti va aspettato perché può crescere ancora di più nel corso dei prossimi anni. Con Gabriele Mainetti oggi sono tra i cineasti italiani che seguono consapevolmente e con estrema coerenza una nuova strada nel cinema italiano e dimostrano che si può inventare senza tradire.

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