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Diabolik - Ginko all'attacco

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

È notte su Clerville. Dopo essersi arrampicato sulla parete del museo, Diabolik entra nell'edificio e riesce a rubare una preziosa corona. Ma non è l'unico colpo. Il Re del Terrore, con la sua complice e amante Eva Kant, s'impossessa anche del resto della collezione Armen durante una sfilata. In questo secondo furto però è caduto in una trappola tesa da Ginko e le ballerine derubate non erano altro che poliziotte infiltrate. L'ispettore e i suoi uomini riescono a trovare il suo rifugio dentro una montagna. Diabolik riesce a scappare ma nella fuga abbandona Eva che, per sottrarsi alle forze dell'ordine, si tuffa nel fiume. Ginko è convinto che il criminale prima o poi si farà vivo così fa sorvegliare giorno e notte il suo laboratorio in cui c'è tutta la preziosa refurtiva rubata negli anni. A mettersi in contatto con lui sarà invece Eva Kant che si vuole vendicare dopo essere stata tradita e gli propone un accordo per catturare Diabolik. Nel frattempo l'ispettore deve anche affrontare l'arrivo in città di Altea, Duchessa di Vallenberg, con cui ha una storia d'amore che però vuole tenere segreta.

La caccia continua. Sul finale e sui titoli di coda del film, c'è già l'apertura al nuovo episodio che concluderà la trilogia. In realtà Diabolik - Ginko all'attacco non è un sequel di Diabolik ma un nuovo episodio.

Così come lo era, per esempio, ogni film della saga di 007. Stavolta all'origine della nuova avventura di Diabolik c'è il fumetto n. 16 e anche visivamente i personaggi e gli ambienti sembrano ricalcare maggiormente i tratti grafici di Angela e Luciana Giussani. Potrebbero esserci frammenti di noir con Clerville come luogo oscuro come le metropoli statunitensi degli anni Quaranta. La penombra che aveva attraversato Diabolik qui però non produce il mistero e la tensione necessari. Qualcosa si è inceppato rispetto al primo, riuscitissimo, capostipite. E non è solo per il fatto che a interpretare il Re del Terrore non c'è più Luca Marinelli ma Giacomo Giannotti, noto per il personaggio di Andrew DeLuca in Grey's Anatomy. Probabilmente il volto impassibile di Diabolik funziona meglio per un adattamento fedele del fumetto ed è più adatto per le maschere che cambia di volta in volta. Ma in Diabolik - Ginko all'attacco, dopo un'ottima partenza con la sfilata sui titoli di testa che è quasi un videoclip pop che si allaccia idealmente al film di Mario Bava del 1968 con la canzone "Se mi vuoi" di Diodato, i Manetti fanno predominare la storia sull'atmosfera. Si sentono i suoni dei dialoghi recitati che potrebbero arrivare direttamente dal fumetto ("Ginko non è il primo arrivato, non si fida di nessuno e valuta tutte le possibilità"), i meccanismi-giocattolo dello spazio con pareti che si aprono sulla montagna e botole sul bosco e soprattutto stonano dettagli di cui il film non aveva bisogno come nel modo di filmare i coltelli lanciati da Diabolik o, per esempio, il ralenti del gettone telefonico in aria. Forse Diabolik - Ginko all'attacco è più rigoroso e fedele ma meno appassionante. Cerca di dare spazio maggiormente spazio a tutta una serie di personaggi secondari, a cominciare dal sergente Palmer (Pier Giorgio Bellocchio) seguito da Roller (Alessio Lapice) mentre resta troppo emarginata la poliziotta Elena Vanel interpretata da Linda Caridi.

Ma non ha un respiro corale adeguato ma anzi finisce per limitare anche l'esplosiva Eva Kant dove Miriam Leone poteva giocare, sempre a proposito di noir, da consumata dark-lady. Solo con la musica di Pivio & Aldo De Scalzi il film riesce a tratti a ritrovare la seduzione di Diabolik. Alla fine è sempre questione di atmosfera, quella che qui è debole negli inseguimenti da poliziesco e in quegli incontri tra Ginko e Altea, con gli sguardi, la passione e la paura di Valerio Mastandrea e Monica Bellucci che potevano essere gli eredi diretti di Lubitsch. Sono sempre molti gli spunti, anche interpretativi, che un cinema intelligente come quello dei Manetti propone. Stavolta però buona parte delle idee, anche riuscite, restano sulla carta. Le esigenze narrative e produttive della trilogia forse sono troppo veloci. Del resto anche Zemeckis, con Ritorno al futuro, era dovuto andare di corsa.

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