Il tè nel deserto
Due giovani coniugi americani e un loro amico si recano nel Nord Africa. Partendo da Tangeri percorrono un lungo itinerario che li porta nei luoghi dove l'Africa è più ostile. Il viaggio rappresenta una vera e propria traversata della loro esistenza. Mette a nudo l'inconsistenza di una vita senza scopi. Il marito, colpito da febbre tifoidea, muore dopo una straziante agonia. La moglie si perde nel deserto, dove viene soccorsa dal capo di una tribù di Tuareg. L'uomo, divenuto il suo amante, la tiene segregata sino alla liberazione per mano di una delle sue concubine, gelosa dell'occidentale. Prostrata, la donna viene infine soccorsa da una funzionaria dell'ambasciata americana. Ma la sua esistenza è spezzata dalle esperienze vissute. Il film è tratto da un romanzo di Paul Bowles, che compare nel ruolo di testimone della vicenda. Ed è proprio a lui che nel finale si rivolge la donna. Il vecchio conclude con queste parole: "...Quante altre volte guarderete levarsi la luna?... Forse venti. Eppure, tutto sembra senza limite...". Sembra soprattutto che i protagonisti, partendo da presupposti basati sulla decadenza della cultura occidentale, si trovino schiacciati dalla incomprensibilità di una regione che al contrario vive la propria cultura nella fisicità che la radiosa asprezza del clima impone. Un abisso. Un'utopia che l'arroganza culturale non riesce a raggiungere. La sconfitta giunge prima nel corpo per poi diffondersi nel mistero della morte. Bernardo Bertolucci ancora una volta si finge autore impegnato. Sceglie un testo di difficile decifrazione. Ricorre alla strepitosa capacità di rappresentare ciò che non è rappresentabile. Personaggi odiosi, da guardare con sospetto dopo le prime battute. Una ricerca maniacale di uno stile letterario più che cinematografico. Parole vane. Personaggi dimenticabili. Ogni sequenza sembra il trailer della successiva. Resta la fotografia di Storaro, anch'essa prevedibile con alcune incursioni nell'immaginario pubblicitario più vicino ai baci Perugina che non alle morenti pagine di Bowles. Bertolucci non ama i suoi personaggi e li priva così della segreta poesia che è presente in ogni confessione. Una fama, quella di Bertolucci, giustificata dalla sua capacità di manipolare grandi budget, al servizio di padroni un po' snob, come sanno essere gli americani quando affrontano la cultura. Per ora è ancora e solo il regista de Il conformista.
Il Morandini
Nel 1947 una coppia di agiati americani in crisi (viaggiatori, non turisti) sbarca a Tangeri e si sposta verso l'interno. Lui muore di tifo, lei s'unisce a una carovana di nomadi tuareg sino ad Agades (Niger) attraverso il Sahara algerino. Da un romanzo (1949) di Paul Bowles un film intimista da camera, dove la "camera" è la vastità del deserto, articolato come una sinfonia in tre movimenti, storia di un viaggio interiore iscritto in un viaggio reale. 3ª storia d'amore nell'itinerario di Bertolucci, ma senza romanticismo, nonostante le aperture melodrammatiche. L'onda lunga del dolore si acquieta nell'incontro conclusivo di Kit (l'intensa Winger) con Paul Bowles, il suo autore, sotto il segno di una malinconia che forse ne è la convalescenza. Fotografia di Vittorio Storaro, musiche di Ryuichi Sakamoto e Richard Horowitz.