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Margini

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

Grosseto, 2008. Michele, Edoardo e Iacopo, amici da sempre, formano un gruppo street punk hardcore, ma non hanno una lira, un'occupazione, e neppure un luogo in cui suonare. Miracolosamente sono chiamati come opening act della band americana Defense in tournée europea, ma la data del concerto viene poi cancellata. A Michele viene allora in mente di invitare i Defense a Grosseto, e altrettanto miracolosamente la band accetta: peccato che manchino il locale, l'impianto acustico e i soldi per i trasferimenti. Michele ha moglie e figlia, Edoardo un padrino dispotico, e Jacopo l'occasione di suonare per un'orchestra seria. Riusciranno i nostri eroi nella loro delirante impresa?

Margini è (finalmente!) una commedia italiana in cui si ride davvero ma che ha il sapore amaro di una realtà che non sorride ai giovani, in particolare agli artisti.

Deve moltissimo al cinema dei Virzì (Paolo, ma anche il Carlo di I più grandi di tutti) e tuttavia se ne affranca perché riesce a restare ruspante vero, e perché racconta una generazione successiva a quella di Ovosodo. È soprattutto l'energia che attraversa la narrazione a rendere coinvolgente questa storia di tentato riscatto dove funziona tutto, soprattutto la corrente nervosa e la recitazione di tre ottimi attori che sembrano fisicamente rimandi pop culturali: Edoardo (Emanuele Linfatti) una versione underground di Fedez, Iacopo (Matteo Creatini) un giovane Edoardo Gabbriellini e Valentina Carnelutti (la madre di Edo) la Nicoletta Braschi senza Benigni. Francesco Turbanti (Michele), anche cosceneggiatore, riassume invece in sé l'esistenza ai margini del titolo, di chi è nato contrario e incapace di assimilarsi al resto del mondo. Silvia D'Amico è teneramente efficace nei panni della moglie di Michele, ma chi ruba costantemente la scena a tutti è Nicola Rignanese nei panni esilaranti del padrino di Edo. In generale (e in scrittura!) nessuno dei personaggi perde umanità, restano evidenti le ragioni di tutti, e (al netto dei consueti problemi di sonoro del cinema italiano, che a volte rendono inintelligibili i dialoghi) le interazioni conservano una genuina componente di verità. Ed è confortante di per sé sapere che c'è ancora chi crede che "le cose si fanno o non si fanno", potente antidoto per i ragazzi del 2022 che gettano la spugna in partenza. È impossibile non fare il tifo per questo quartetto antistorico e postmoderno in un mondo analogico per scelta, che condivide prossimità fisica e motivazione ideologica, porta in giro gli strumenti col carrello della spesa e presenta il proprio concerto agli enti locali come "un'occasione per il territorio". Anche gli ambienti della provincia maremmana sono perfetti: balere e supermercati, sagre e centri anziani, processioni e circoli Arci, Comuni decorati con teste di cinghiale e butteri "Marlboro men" della provincia.

La regia di Niccolò Falsetti, anche coautore della sceneggiatura con Turbanti e Tommaso Renzoni, è precisa all'interno di quell'energia caotica e scomposta, come lo è il montaggio (di Stefano De Marco e Roberto Di Tanna): a Falsetti, al suo primo lungometraggio, si deve la coesione di tutto il film, che ha il sostegno di icone alternative come i Manetti Bros. e Zerocalcare ma resta fieramente incapace di ruffianate e conformismi, e brucia dall'inizio alla fine senza mai cedere alla tentazione della svolta consolatoria.

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