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Freaks out

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

C'è una guerra sporca che brucia il mondo e i diversi. In quella guerra sporca c'è un circo e dentro al circo quattro freaks che strappano sorrisi all'orrore. Matilde è la ragazza 'elettrica', Fulvio l'uomo lupo, Mario il nano calamita, Cencio il ragazzo degli insetti. A guidarli è Israel, artista ebreo e 'terra promessa', che ha inventato per loro un destino migliore. Assediati dai nazisti, che hanno occupato Roma e soffocato ogni anelito di libertà, decidono di imbarcarsi per l'America ma inciampano nell'ambizione divorante di Franz, pianista tedesco e direttore artistico del Zirkus Berlin, con troppe dita e poco cuore. Strafatto di etere, Franz vede il futuro e vuole cambiarlo: la Germania non perderà la guerra. A confermarlo sono i suoi deliri, a garantirlo i superpoteri di Matilde, Fulvio, Mario e Cencio. A Franz non resta che scovarli.

Davanti a Freaks Out, e dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, non abbiamo più dubbi, Gabriele Mainetti è il mago di Oz del cinema italiano.

Un uragano che ci solleva dalla monotonia della produzione nazionale per precipitarci nella terra dell'avventura, dove sopravvivono creature fantastiche in cerca del loro cuore o del loro coraggio per sconfiggere la paura e una strega, sempre crudele e ciarlatana. Non si allontana troppo dalle rive del Tevere, Mainetti che lascia il cuore del ciclone per sbarcare nel regno della narrazione fantastica nutrita di Storia. Una 'storia' nota che il suo film 'mette in pericolo' attraverso un nazista più nazista degli altri, decisamente antisemita e ostinato a vincere la guerra, perché ha già visto il futuro e la morte del Führer. Mainetti confonde i fatti reali (l'occupazione di Roma) con gli avvenimenti immaginari (l'arrivo del Circo Mezzapiotta). Cortocircuitando l'esperienza romanzesca e l'illusione di realtà storica, immagina un pianista pazzo che usurpa a Chaplin l'energia burlesca per ridere e irridere l'intolleranza e la tirannia. Da qualche parte tra il gaio dittatore di Mel Brooks e il grande dittatore di Charlie Chaplin, Franz Rogowski torce e rivolta il corpo per entrare meglio nella pelle dell'altro, soprattutto di quello che si detesta. Giocoliere con mappamondo e bastone (una pistola a canna lunga), l'attore tedesco sa bene che i dittatori sono registi e segretamente coreografi. Sempre comicamente in controtempo, infila in Freaks Out danze improvvisate, balzi e sbalzi di umore perché Franz combatte una battaglia contro il mondo non troppo lontana da quella dei suoi antagonisti, mostri come lui fuori dal circo. Ma se il primo schiverà la realtà senza fine, nascondendo dietro la divisa la propria anomalia, i nostri ci affonderanno temerariamente. Persino Cencio, il più pavido tra loro finirà per volare alto "senza aria e senza rete". Alla caricatura distruttiva del nazismo trionfante, Mainetti oppone ancora una volta un eroe, quattro eroi popolari, poveri diavoli e nobili attori che maneggiano il grottesco con brio. Riconfermato Claudio Santamaria, riconoscibile dietro al pelo mannaro, assolda Pietro Castellitto, silhouette albina e in contropiede costante, Giancarlo Martini, clown incipriato e 'dotato' di magnetismo, e Aurora Giovinazzo, orfana 'luminosa' che dirige i codici del film storico verso l'intrattenimento mutante.

Ancora una volta Mainetti si orienta verso attori dal fisico passe-partout per attraversare inosservato l'orrore. Un déclic, la sparizione improvvisa del loro 'leader', catturato dai nazisti, apre la coscienza e rimette sulla diritta via gli eroi, che faranno scelte più ambiziose che accendere lampadine o domare insetti, piegare forchette o calamitarle sul petto. Il cammino è sinuoso e l'ostacolo ha la stessa forza sovraumana. E in ragione di quella forza, i fantastici quattro si faranno compassionevoli giustizieri, praticando la giustizia poetica e facendo fondere d'amore lo spettatore. Sprofondato nel cuore di tenebre della storia, Freaks Out incarna veramente il tema del peso della responsabilità indotta dai superpoteri, essenziale nel mito del supereroe e abdicato da tempo dalla Marvel. Mainetti realizza un film di super-eroi che non si prende mai gioco di loro, permette ai protagonisti di esistere realmente, non hanno bisogno di costumi (a parte quelli di scena), mescolandosi nella società come eroi quotidiani. La figura (super)eroica è soggetto ricorrente del cinema di Gabriele Mainetti, una variante alternativa e ben più intima dei due intoccabili giganti Marvel e DC. Genere dominante da più di dieci anni a Hollywood, una presa di potere che si spiega col contesto ideologico (il dopo 11 settembre), tecnico (l'eccellenza degli effetti speciali) e socioculturale (l'avvento dei geek), raramente viene realizzato oltre i confini americani. È probabile che i nostri supereroi resteranno per sempre all'ombra dei rivali d'oltreoceano, sovralimentati e dopati con spettacolari effetti speciali, è sicuro che non abbiamo i loro superpoteri ma abbiamo senz'altro le idee. L'idea per esempio di mischiare il 'neorealismo' locale con la figura americana del supereroe. Se Lo chiamavano Jeeg Robot giocava la carta deviante, intimista e minimalista, Freaks Out gioca quella spettacolare dentro 'Roma città aperta' dove immagina una Magnani invincibile che sopravvive al suo 'Francesco'. Mainetti non copia gli americani ma applica la sensibilità (e la cultura) del vecchio continente al genere supereroico. Il risultato è un film storico fantastico e originale, una combinazione di malizia, emozione e umiltà. L'autore tira la riga del fronte, da una parte gli eroi ordinari (ebrei, partigiani, freaks), stanchi e abbandonati fuori dal mondo e dentro ambienti dismessi dove il cattivo cova e li minaccia, dall'altra i colori e lo slancio degli effetti speciali, l'immaginario pop rilasciato a piccole dosi. Niente di esagerato, tutto si fonde bene, in maniera vivace, fluida, dinamica. Il cast, eterogeneo e governato da Giorgio Tirabassi, funziona a meraviglia. Gli attori giocano la parte e ritrovano una forma di innocenza. Pieno di un candore assunto senza complessi, Freaks Out re-incanta il mondo attraverso l'eroismo, producendo meraviglia, paura, eccitazione, fede. Fede nel cinema creativo e ricreativo. Un consiglio, restate incollati ai titoli di coda e vedrete cosa è stato del tempo che ci è stato concesso.

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