Petra
L'ispettrice di polizia Petra Delicado torna a risolvere una serie di casi, ogni volta riponendo in una scatola l'oggetto simbolo del caso appena risolto: e si tratterà di comunità altoborghesi con troppi segreti, di Alzheimer, di ricatti fra liceali, di centri di accoglienza e baby gang, di naziskin e pedopornografia. Petra e il fido Antonio Monte affronteranno ogni demone sociale con professionalità, ma con sempre meno distacco emotivo, e saranno entrambi coinvolti in relazioni amorose con o senza futuro. Anche il rapporto fra di loro si stratificherà, talvolta in modi inaspettati, entrando nella reciproca intimità e scavando nelle reciproche paure.
La seconda serie di Petra, sempre basata sui racconti della giallista spagnola Alice Giménez-Bartlett, è il buon risultato di una squadra meglio rodata.
La squadra di lavoro comprende ancora Paola Cortellesi e Andrea Pennacchi nei ruoli centrali di Petra e Antonio, la regia sempre più competente di Maria Sole Tognazzi e il solido team di sceneggiatura composto da Giulia Calenda, Furio Andreotti e Ilaria Macchia, questa volta più a loro agio nell'intessere le trame di Giménez-Bartlett di dettagli su misura per Cortellesi (che collabora anche alla sceneggiatura) e Pennacchi e nel conferire una dimensione italiana (anzi, genovese) alla serie. Fondamentale anche il montaggio di Valentina Mariani, mentre quello di Walter Fasano, solo nella prima puntata, è più approssimativo e frettoloso e sembra sottolineare gli errori di continuità invece di smussarli. Intorno a loro cresce la rete di caratteristi che aggiungono valore ai personaggi principali, compresi due - Manuela Mandracchia e Francesco Colella - destinati a rimanere, e altri - in particolare Valentina Bartolo e Sergio Romano - pronti ad arricchire i casi di puntata con generosa professionalità. Genova invece appare meno, prevalentemente in vedute dall'alto, o all'interno di spazi funzionali alle storie: l'acquario, il museo archeologico, il planetario, il Giardino di Plastica, il locale sul mare dove Petra e Antonio vanno a bere birra. Sempre molto bella la sigla, nello stile inconfondibile di Simone Massi, che evidenzia gli elementi simbolo dei casi di puntata. Cortellesi è meno rigidamente attaccata alla caratterizzazione di Petra come opposta alla sua immagine pubblica: una donna sola, che non sorride quasi mai, burbera e apparentemente anaffettiva, diretta fino alla brutalità, sarcastica e programmaticamente misantropa. Cortellesi appare più a suo agio nel ruolo, e dunque non ha più bisogno di estremizzare la sua interpretazione, regalandole momenti di dubbio e fragilità, senza mai sacrificare la sacrosanta legittimazione di un personaggio femminile assai lontano dall'archetipo materno, casto e romantico tanto in voga nella televisione italiana. Petra continua a metterci la faccia, a rincorrere i malviventi e a farsi prendere a botte, a gettarsi dai tetti e a sfondare finestre, a temere le relazioni durature e ad apprezzare la propria autonomia, senza "pentirsi delle decisioni importanti" prese nella vita, compresi i divorzi dai suoi due ex mariti, mentre Antonio Monte continua ad essere (apparentemente) più accessibile e meno draconiano. La palette di colori della serie riflette la vita in sfumature di nero di Petra (le scenografie sono di Elisabetta Zanini e i costumi ton-sur-ton di Loredana Buscemi) e la fotografia rimane nitida e precisa, lavorando in continuità fra Arnaldo Catinari e Davide Leone. Ma è soprattutto la regia di Tognazzi a tenere le fila di un percorso identitario di serie che si fa sempre più netto, andando a consolidare ciò che ha funzionato e limando ciò che era meno riuscito: un lavoro di consolidamento paziente ed efficace che armonizza gli elementi della narrazione. Ogni tanto c'è qualche cedimento alla convenzionalità del genere applicato al piccolo schermo (come i pannelli con le foto dei sospetti), ma l'affiatamento della squadra è manifesto, e questo succede quando il timoniere ha ben saldo il comando.