Ti mangio il cuore
Promontorio del Gargano. I Malatesta e i Camporeale sono in guerra da sempre, e Michele Malatesta ha vendicato l'eccidio di tutta la sua famiglia avvenuto nel 1960. Più di quarant'anni dopo, le due famiglie sembrano aver instaurato una tregua, favorita da una terza famiglia, i Montanari. Ma Andrea Malatesta, il figlio prediletto di Michele, perde la testa per Marilena, la bellissima moglie di Santo Camporeale, ed è di nuovo guerra senza esclusone di colpi, destinata a protrarsi nel tempo e a travolgere persone e cose. Nessuno saprà più di chi potersi fidare, così come nessuno potrà evitare di entrare in qualche misura nella spirale della violenza.
Ti mangio il cuore è girato in bianco e nero e ambientato in una Puglia atavica e rurale, dove gli esseri umani vivono insieme alle pecore e ai maiali e spesso si comportano peggio delle bestie.
Nessuno si sottrae alla logica della faida che condiziona la vita di intere famiglie e intere generazioni. In mezzo scorre la passione, quella fra Andrea e Marilena ma anche quella fra Teresa e Michele, e i legami di sangue sono viscerali e potenti, nel bene e nel male. La fotografia fortemente contrastata di Michele D'Attanasio rispecchia visivamente l'asprezza dei conflitti in scena e la divisione netta degli schieramenti: è tutto, letteralmente, bianco o nero, non c'è spazio per alcuna gradualità. È questo però anche il punto debole della regia di Pippo Mezzapesa (che firma il copione, tratto dal libro omonimo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, insieme ad Antonella Gaeta e Davide Serino) che rimane sempre sopra le righe: certamente una scelta, ma difficile da sostenere per le quasi due ore del racconto. Anche per questo funzionano meglio gli attori che scelgono di recitare in levare, da Francesco Di Leva a Michele Placido alla cantante Elodie, che esordisce qui come interprete. Una nota a parte merita Lidia Vitale, che pur facendo della sua Teresa, la moglie di Michele Malatesta, "l'albero del veleno", non dimentica di inserire nella sua interpretazione mezzi toni e sfumature. Le musiche di Theo Teardo sostengono in pathos della storia che funziona, anche nel montaggio di Vincenzo Soprano, per accumulo - soprattutto di cadaveri. Da un lato Mezzapesa ha il coraggio di rimanere estremo fino in fondo, e la capacità registica per donare un'eleganza formale ad una storia di efferata brutalità. Dall'altro qualche momento di respiro in più avrebbe reso la narrazione meno grave e meno estrema. Ma il pubblico potrebbe innamorarsi di questa partitura western a tinte forti (nonostante il bianco e nero) con la stessa passionalità incandescente con cui Marilena e Andrea bruciano sulla fiamma del loro peccato.