The Color Purple
Nella Georgia segregazionista del primo Novecento, Celie e Nettie sono sorelle e sono inseparabili. Almeno fino al giorno in cui il padre incestuoso non 'svende' Celie al peggior offerente, Albert, un uomo alcolizzato e violento. Inconsolabile e 'battuta' dal marito, Celie sopporta tutto, i colpi, le umiliazioni, i figli del primo matrimonio. Ma un bastimento di vita e di amore bussa finalmente alla sua porta. Col vento del Sud arrivano Sofia, futura 'nuora' dalla personalità debordante che prende (letteralmente) a pugni il patriarcato, e Shug Avery, cantante blues indipendente e sensuale che insegna a Celie la bellezza e l'amore per se stessa. La loro presenza risveglia in lei sentimenti e desideri mai sospettati. Celie decide allora di vivere la sua vita. Imbarcata per Memphis, trova l'emancipazione e ritrova gli affetti perduti.
Pubblicato nel 1982 e vincitore del Premio Pulitzer, "Il colore viola" di Alice Walker è un classico della letteratura americana, il calvario di una donna nera della Georgia che passa da un padre incestuoso a un marito violento ma sopravvive a un quotidiano di sofferenze grazie al sostegno di due donne risolute e ribelli.
Un romanzo di emancipazione e una storia mai raccontata prima. Nel 1985 Steven Spielberg adatta il libro, Whoopi Goldberg è la sua Celie, nel 2005 Oprah Winfrey produce a Broadway la sua popolare versione musicale. Ma evidentemente il racconto di Alice Walker non ha finito di ispirare gli artisti e di trovare nuovi echi. Mutatis mutandis, niente si perde, tutto si trasforma. Così sotto il patrocinio del tandem Spielberg - Winfrey, il colore viola si ravviva ma non abbaglia. Blitz Bazawule ricrea in musica(l) la vita di una comunità nera al debutto del XX secolo, quando la miseria rimpiazza la schiavitù senza allentare il razzismo. Saga e racconto intimo insieme, Il colore viola riprende le fila del romanzo e la sua prepotente energia in una trasposizione dominata dalle donne, imperiose e lanciate compatte contro ogni forma di dominio, maschile, sociale, politico, razzista. Le interpretazioni sono all'altezza della sfida, da Fantasia Barrino (Celie), che fa una brillante transizione sullo schermo, alle incandescenti Taraji P. Henson (Shug) e Danielle Brooks (Sofia), e garantiscono al musical la sua efficacia drammatica e il suo calore. Blues, jazz, ragtime e gospel si incarnano per 'cantare' le tribolazioni di una giovane donna nera. Ma Bazawule, coautore di "Black Is King", l'album visivo di Beyoncé, non è Spielberg. Del resto è il segreto del papà di E.T. quella capacità di dare agli eventi più convenzionali una dimensione di verità primaria, semplice come una leggenda o un mito infantile, con tutto quello che comporta di innocenza e di crudeltà. Ma c'è di più, Il colore viola di Spielberg flirtava già col genere. Interrompendo la fluidità del racconto, il suo film si metteva a cantare con la voce blues di Táta Vega ("Sister"). Con Bazawule la musica cambia insieme alle geometrie, ai codici e alle aspirazioni intime dei personaggi, il suo film approfondisce per esempio il sentimento tra Celie e Shug Avery che nell'originale di Spielberg era solo accennato. Altri tempi, altri costumi. Malgrado la regia, che conferma la fase terminale del musical hollywoodiano, e l'esecuzione dei numeri musicali, messi in scena come a teatro, amiamo Celie, perché è lei, perché è Fantasia Barrino, perché prende le distanze dalle disgrazie con una fierezza e una dolcezza regale, senza cadere mai nell'affettazione. Lei crede e noi crediamo, almeno fino a due terzi del film.
Come Spielberg, Bazawule vuole premiare Celie, mostrare il suo successo sociale e anche Nettie in Africa, inciampando nel melodramma struggente e in personaggi che impariamo ad amare o a maledire. Un melò assolutamente implacabile dove le interpretazioni hanno la precedenza su qualsiasi velleità di struttura, di fluidità della narrazione o di limpidezza della forma. Figlio di Broadway, di Hollywood e dello star system nero, il remake musicale della Warner è un guscio scintillante ma vuoto che 'illustra' l'immaginazione di Celie immergendola in mondi fantastici. Il problema non è il concetto ma la sua realizzazione che manca di finezza e manca il legame tra fantasia e realtà. Persino la mitologia del Sud (i rami cadenti dei salici, gli spruzzi di luce radente e dorata...) 'suona' fossilizzata e inerme. La leggerezza, cercata invano nella trama (soggette ai capricci di un padre o di un consorte, le nostre eroine non hanno davvero nulla di cui sorridere, cantare o ballare...), si schianta su un finale sognante che evoca l'utopia panafricana di Wakanda. Quanto alle canzoni, sono state ampiamente testate sul palcoscenico di New York e ridotte per lo schermo, quelle rimaste sono galvanizzanti, a cominciare da "Hell No!", e votate a Dio, onnipresente nelle strofe e nei refrain. Ei'm?n!