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The gilded age

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Fred Flinstone
Fred Flinstone

Marian Brook (Louisa Jacobson) deve fare il suo ingresso nella società aristocratica newyorkese della fine del Diciannovesimo Secolo. L'ingresso è forzato: reduce della perdita di un padre assente e indebitato, si troverà senza alcuna risorsa e così costretta a raggiungere le sue anziane zie (Christine Baranski e Cynthia Nixon), esponenti di una classe sociale in forte cambiamento e nei suoi ultimi anni di "reggenza". Il suo arrivo sarà concomitante all'ascesa dei Russell, una famiglia borghese arricchita che intende farsi valere in un sistema chiuso quale è quello dell'aristocrazia di fine secolo. In molti hanno equiparato la "serie del momento" a due importanti produzioni che hanno attirato molta attenzione negli ultimi anni: da un lato Bridgerton, prodotta in casa Shonda Rhymes, che ha rianimato il racconto in costume, dall'altro Downton Abbey, di cui condivide il creatore, Julian Fellowes, ormai esperto del period drama e che forse per questo ha raggiunto una certa saturazione creativa. Della prima ha in realtà ben poco, della seconda invece fin troppo.

The Gilded Age riguarda un periodo storico ma, ancor più, il conflitto di classe.

La nostra protagonista è interpretata da Louisa Jacobson Gummer che, malgrado le sue nobili origini, dalla madre Meryl Streep ha ereditato solo alcuni tratti del viso, certamente meno rispetto alla sorella Grace Gummer, sia dal punto di vista estetico che recitativo. Marian verrà introdotta non tanto in un nuovo contesto quanto in una guerra silenziosa, quella tra un vecchio regime aristocratico, con schemi e regole istituzionalizzate, e il nuovo che avanza, impersonificato dai nuovi vicini delle due zie. Da poco trasferitisi nel cuore della città, ovviamente Central Park, i Russell sono la New Money newyorkese, gli arricchiti: George (Morgan Spector) ha creato la sua fortuna grazie alla sua furbizia nel campo ferroviario ma è la moglie a rubargli la scena sociale. Bertha (Carrie Coon) intende essere riconosciuta come nuova esponente della classe più elevata, un fine che non raggiungerà facilmente essendo la classe aristocratica totalmente impermeabile alla novità, nonché artefice di quella stessa stratificazione sociale e culturale che fino a poco tempo prima impediva la scalata sociale fatta dai Russell. Il conflitto di classe, al centro del racconto, si riflette anche sugli "strati" più bassi, introducendo sin dal primo episodio il personaggio di Peggy Scott (Denée Benton), ragazza di colore e aspirante scrittrice con cui Marian stringe amicizia, che da subito ci mostra la realtà del tempo. Le umili origini di Peggy e la sua etnia sono un ostacolo insormontabile e bilanciano il muro anteposto dalla ricca società newyorkese nei confronti dell'emergente borghesia. Ci troviamo di fronte a una serie che cristallizza l'operato di Fellowes, ormai bloccato in un dipinto classico, impressionista, non tanto di determinati periodi storici quanto delle dinamiche che ormai è abituato a raccontare. La serie stupisce per un conflitto non tanto diegetico ma extra-diegetico: quello che nasce da un racconto non originale, già visto, deludente, e la grande presenza di Christine Baranski in scena, che diventa iconica al pari di Maggie Smith in Downton Abbey, oltretutto in un asset produttivo imponente, in altre parole HBO.

Proprio tramite questo parallelismo possiamo rintracciare l'effetto più consistente che la visione di The Gilded Age produce: la ridondanza, che è certamente narrativa (null'altro potremmo attenderci da Fellowes) ma anche e soprattutto produttiva. Baranski è, in effetti, l'amata e odiabile Contessa Madre di Grantham in tutto, ripropone lo stesso atteggiamento e la stessa fermezza classista che magnificamente Maggie Smith interpreta in Downton Abbey. Similmente Cynthia Nixon, nel proporci una zia buona e sommessa, riecheggia molti dei caratteri della sua Miranda (Sex and the City) confermando la difficoltà a togliersi i panni di un personaggio iconico. Stupisce all'inizio - ma in virtù di questi parallelismi non più di tanto - la presenza nel cast di Audra McDonald, riposizionata qui nel ruolo della madre di Peggy, in un periodo in cui essere afro-americani non permette certo di essere a capo di uno studio legale insieme alla stessa Baranski, come accade in The Good Fight un secolo e mezzo dopo. Il riposizionamento delle due attrici ricorda il tema razziale molto affrontato dai coniugi King nello spin-off di The Good Wife, e quindi ancor più rispecchia la ridondanza (sia narrativa che produttiva) di The Gilded Age. La serie disattende proprio in questo modo le aspettative per un prodotto HBO, dal quale siamo abituati a ricevere delle serie di una certa levatura e soprattutto più audaci nell'affrontare tematiche scomode e interessanti; di certo non ci aspettiamo un racconto che appare pre-impacchettato e raffazzonato.

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