The good mothers
Lea Garofalo, testimone di giustizia, porta sua figlia Denise a Milano dal padre, un boss della 'ndrangheta, e scompare nel nulla. Giuseppina Pesce si occupa degli affari di famiglia ma s'innamora di un uomo che non è suo marito, altro capo di una potente famiglia malavitosa. Maria Concetta Cacciola ha il marito in carcere, ma vive in prigione anche lei, segregata tra le mura di casa e oppressa da una famiglia che non le concede alcuna libertà. La p.m. Anna Colace ha un'intuizione: scovare e aiutare queste donne a uscire dalla cerchia delle loro famiglie oppressive per poter abbattere "da dentro" i clan della 'ndrangheta. Ma collaborare con la giustizia non è facile, richiede una gran dose di coraggio e amore per i propri figli.
Una serie imperdibile e piena di pathos, capace di incollare chi guarda a vedere tutti e sei gli episodi, per capire che ne è delle "buone madri" del titolo, protagoniste continuamente messe in pericolo a cui è facile affezionarsi e in cui può immedesimarsi non solo chi è vittima di violenza, o nasce in determinati contesti, ma anche chi è genitore e sa che per i suoi figli farebbe qualsiasi cosa.
The Good Mothers, diretta a quattro mani da Julian Jarrold e Elisa Amoruso, è una serie sorprendente. Per il suo spessore narrativo, per l'eleganza della messa in scena, per la raffinatezza del binomio forma e contenuto, per come sa tenere alti ritmo e tensione fino all'episodio finale, e per le ottime interpretazioni che vanta. Ma ancora prima, per l'intento nobile di voler portare a galla le storie delle "invisibili": le donne della malavita, che crescono nel nido criminale più claustrofobico e patriarcale del mondo, e che il cinema è solito raccontare solo in funzione degli uomini che le manovrano e fanno la storia. . Questa volta è il contrario. Questa volta le protagoniste sono loro, donne, mogli, figlie, sorelle e soprattutto madri, nate e cresciute all'interno di famiglie criminali e delle loro regole asfissianti. La scelta del materiale narrativo fa la differenza già a tavolino: non si sceglie di celebrare le donne boss che hanno, o si prendono, il potere alla Gomorra, ma di far luce su quelle donne vittime di un sistema che finisce per tarpare loro ogni libertà. Non ci si può ribellare, non ci si può innamorare, non si può nemmeno chattare liberamente su Internet in famiglie in cui c'è un solo ruolo indiscusso ed è quello maschile, di una maschilità machista, tossica e prepotente. Il padre-padrone, il fratello picchiatore, sono emblemi viventi di una catena di violenze che si perpetuano di generazione in generazione. È uno sguardo scioccante, inedito e profondamente interessante, quello che offre The Good Mothers: approcciare alle storie criminali da una prospettiva mai esplorata così a fondo e con un'introspezione psicologica così notevole, che fa a meno del giudizio e di ogni facile scelta manichea, per restituire la multisfaccettata complessità di chi vive certe situazioni. Non c'è spettacolarizzazione del crimine, né delle continue violenze verso le donne che pure vengono raccontate. Non c'è neanche l'ombra della seduzione o del fascino del male. C'è, piuttosto, la voglia di mostrare reazioni ed emozioni con autenticità e rispetto, senza retorica o ricatto morale.
La serie è avvincente proprio perché episodio dopo episodio si focalizza su storie vere, e dunque ancor più rabbrividenti. Quelle di tre donne decise a ribellarsi alle loro famiglie e alle loro leggi inesorabili, interpretate da attrici d'eccezione. A dare corpo e anima a Lea Garofalo è Micaela Ramazzotti, brava a restituire tutta la dolcezza di una madre disposta a immolarsi per sua figlia, lasciandole addosso una lezione di grande dignità e insieme l'esortazione a ribellarsi. C'è Valentina Bellè che sparisce completamente nella sua Giuseppina Pesce, personaggio anticonformista sin dalla prima scena a bordo della sua moto, impegnata in prima persona nei loschi affari di famiglia. Una roccia che si frantuma a poco a poco, mentre vede i suoi diritti di donna e di madre sgretolarsi. Il lavoro che l'attrice fa sulla mimica e sul linguaggio è notevole e sa restare impresso. C'è poi Simona Distefano, madre dallo sguardo ferito impossibile da dimenticare, che interpreta la più fragile di tutte, Concetta Cacciola. Segregata in casa, non le è concesso muoversi e quando ci proverà sarà ferocemente punita, con la furia che solo le bestie sanno tirare fuori. Barbara Chichiarelli torna a vestire panni investigativi dopo la buona performance nella serie Corpo Libero e va più a fondo, mostrando tutta la determinazione di una magistrata decisa ad andare avanti nelle indagini contro tutto e tutti e, contemporaneamente, la vulnerabilità di una donna attenta ad aiutare più che può le testimoni di giustizia che trovano il coraggio di ribellarsi alle loro famiglie. C'è poi Gaia Girace, di nuovo calata in un contesto di patriarcato e leggi criminali dopo l'Amica Geniale, ma qui il suo personaggio soffre della disperazione universale di chi perde la propria madre, e con lei un rapporto unico al mondo, e non si dà pace. Convincenti anche gli interpreti del mondo maschile che incombe soffocante e minaccioso sulle protagoniste: Francesco Colella è un padre senza scrupoli e senza cuore, Andrea Dodero un ragazzo che non ha la forza di ribellarsi e difendere il proprio amore. Perché The Good Mothers, oltre ad essere una serie crime, racconta una grande, epica e commovente storia d'amore: quella di madri coraggio che non possono tollerare di essere private dei propri figli, di vederli distanti o manipolati da chi intende assegnare loro un destino inesorabile. Salvare i propri figli, salvare se stesse: oltre alle storie di emancipazione e lotta che propone, la serie ha il merito di far riflettere più in generale sulla condizione femminile, su tutte quelle donne che ancora negli anni Duemila in troppe parti del mondo soffrono una clamorosa mancanza di libertà