The Quiet Girl
Se una bambina ha bisogno d’amore per sbocciare, la rinascita del cinema irlandese passa per la lingua irlandese. Interamente recitato in gaelico, The Quiet Girl è il ritratto di un’infanzia maltrattata nell’Irlanda rurale degli anni Ottanta. Prendendo a modello il cinema di Kelly Reichardt (Certain Women, First Cow), Colm Bairéad firma un (primo) film minimalista e pastorale, che fa sentire la terra e ricama i non detti. I personaggi e il loro spirito parlano la lingua ancestrale dell’isola, una manciata di parole che restano sempre ad altezza di bambina. La bambina “tranquilla” del titolo, in difficoltà a scuola e in famiglia, dove ha imparato a non farsi notare per evitare rimproveri e scherno. Introversa e invisibile, sparisce agli occhi del mondo e dentro l’erba alta. A tradire il suo malessere silente, è l’enuresi notturna. Colpita e affondata con la sua autostima, viene spedita come un pacco a parenti lontani, consegnata a terzi senza ragione se non quella di alleggerire una madre incinta per l’ennesima volta del marito fedifrago. Cáit sbarca il tempo di un’estate dai Kinsella, una coppia ‘senza figli’. Nella loro casa modesta, ma più spaziosa e curata di quella conosciuta fino allora, Cáit si gode finalmente le attenzioni di cui hanno bisogno tutti i bambini per crescere serenamente: compagnia, cura, affetto ma anche vestiti nuovi e puliti, pasti regolari e bagni caldi. Se la donna, Eibhlín, si mostra subito dolce e accogliente, il marito, Seán, mantiene inizialmente le distanze da quella bambina ‘di passaggio’. Non vuole farsi coinvolgere nella sua educazione ma col tempo finisce per mostrare segni di responsabilità e di interesse. La distanza tra lui e Cáit si accorcia e il legame matura come il grano a luglio. In questo nuovo focolare, la protagonista fiorisce, nutrita d’amore e d’acqua fresca. Cáit si risveglia alla vita e alla parola, che resta tuttavia misurata perché The Quiet Girl compone col silenzio, una maniera più confidenziale di comunicare. I personaggi parlano poco ma le immagini dicono di più. Lo spettatore si lascia assorbire dal grande schermo e da quei grandi spazi mentali che solo le persone molto vicine e molto amate condividono e coltivano. Il film diventa allora un’esperienza meditativa, che permette di ascoltare la musica dell’anima quando il mondo tace e la gente fuori smette di fare rumore. Per Colm Bairéad niente è più importante di quella quiete, conservata fino all’epilogo come un segreto. A un passo dai titoli di coda decide improvvisamente di muovere la m.d.p.: riconsegnata ai suoi e al suo ineluttabile destino, la protagonista si lancia in una corsa che farà cadere con un abbraccio l’ultima barriera di distinto pudore che esisteva ancora coi suoi genitori del cuore. La semplicità (apparente) conferisce al film un grande potere emozionale e cova un’idea altrettanto semplice sull’amore come sentimento fertile. Il primo che conosciamo, quello dei genitori e della famiglia, quello che naturalmente dovrebbe essere il più forte e importante. Ma The Quiet Girl dice soprattutto del dolore di un’orfana, di come lontano da genitori negligenti, e fra le braccia di estranei familiari alla gentilezza che le era mancata, si possa lenire una ferita che non guarirà mai. La bontà di questi due adulti, sconvolti da una tragedia intima, tocca il cuore e polverizza ogni tentativo di cinismo. Tutt’altro che inesistente sullo schermo, Catherine Clinch interpreta una bambina pallida come la luna che fatica a imporsi in una famiglia troppo grande per lei. Ma ne troverà una più accessibile e recondita. In un angolo segreto dell’Irlanda l’estate arriva e corregge la sua vita. Perché in quella stagione finalmente è stata amata. Forse quell’amore non cambierà le cose, forse non la salverà, forse la vita andrà altrimenti, a contare veramente è che Cáit e i Kinsella si siano incontrati, che il loro sentimento, per quanto breve, sia stato e sarà per sempre, ostinato e bellissimo. Non si esce indenni dal film ma si esce liberi da un peso che non pensavamo nemmeno di portare.